La cucina di Roma, diversamente da altre gastronomie locali, è molto tradizionale e ha mantenuto nel corso del tempo le caratteristiche delle sue origini: i piatti tipici romani, infatti sono frutto di una cucina povera e di origini contadine. Le ricette di Roma utilizzano i prodotti tipici della regione, in particolare le carni meno pregiate, e ingredienti non particolarmente raffinati: le parole chiave per la gastronomia romana sono sostanza, gusto e abbondanza.
Ciò che distingue subito la tradizione culinaria di Roma da quella di altre città e regioni è la semplicità degli ingredienti, spesso scarti della cucina: l’arte popolare e contadina del non buttare via niente e dell’arrangiarsi con ciò che si ha per preparare i pasti ha dato origine a ricette ricche di gusto che ancora oggi vengono riproposte nella cucina casalinga, ma anche nelle trattorie. È sufficiente scorrere i nomi delle ricette e dei piatti tradizionali della capitale per osservare l’utilizzo del cosiddetto “quinto quarto†dell’animale, ovvero di quella parte della bestia da macello che viene scartata dai macellai e che rimane dopo che sono state vendute le parti più o meno pregiate ai benestanti: zampe, frattaglie, coda, guancia, cuore, fegato, cervello, lingua ecc.
Tutti i piatti tipici romani sono realizzati con prodotti e ingredienti tipici del territorio laziale e delle campagne romane. Prima di tutto ogni ricetta della cucina romana abbonda di olio extra-vergine di oliva (basti pensare alle famose fritture romane spesso servite come antipasti, ai carciofi alla giudia ecc.). Nelle campagne intorno a Roma vengono prodotti due olii di origine protetta: l’olio extravergine d’oliva Canino (nella campagna di Viterbo) e l’olio extravergine d’oliva Sabina (prodotto tra Roma e Rieti).
Molte ricette romane, inoltre, utilizzano degli specifici tagli di carne, soprattutto di maiale: anche i primi piatti proposti da tutti i menù di case e osterie di Roma sono spesso a base di carne, per rendere il piatto più sostanzioso ed utilizzare al meglio ogni parte dell’animale. L’ingrediente più famoso delle paste asciutte romane è infatti il guanciale (ricavato da guancia e gola dell’animale e stagionato con l’aggiunta di pepe e sale). Molto famose sono anche porchetta (ottenuta con carne di maiale aromatizzata con sale, olio, rosmarino e pepe e poi cotta sullo spiedo; la più nota è quella di Ariccia e dei Castelli romani, dove viene prodotta dal 1800) e coppiette (striscette di carne essiccata e aromatizzata con aglio, rosmarino, peperoncino e vino bianco, vendute a coppie; originariamente erano fatte di carne di cavallo ed erano utilizzate dagli osti delle trattorie per far venire sete e invogliare la bevuta di caraffe di vino casareccio, attualmente sono prodotte anche con carni di bovino o suino): entrambi questi prodotti sono spesso il piatto forte degli antipasti serviti a Roma.
Numerosi sono, inoltre, le ricette e i modi di cucinare il carciofo romanesco, coltivato nei dintorni di Roma, forse, già dagli Etruschi, che si distingue dalle altre varietà di carciofo per la sua caratteristica forma sferica e per le sue grandi dimensioni; alcuni utilizzi tipicamente romani dei carciofi romaneschi sono: carciofi alla giudia, carciofi alla Romeo, coratella con i carciofi e pollo con carciofi.
Moltissime ricette romane usano, inoltre, i formaggi prodotti localmente, come il pecorino romano (condimento delle famose paste alla gricia, carbonare o matriciana), la ricotta (base per moltissimi dolci fatti a Roma), e la mozzarella di bufala.
La cucina romana, a differenza di altre tradizioni culinarie locali, non ha subito molte influenze esterne, se non quella ebraica dovuta alla notevole presenza della comunità ebraica a Roma e nella regione: la cucina ebraica, raffinata e curata, si è unita così alla tradizione contadina delle campagne e dei mattatoi laziali. Alcune abitudini culinarie sono forse state importate dalla Toscana (uso di aromi e spezie per la cottura del pesce in particolare) e dall’Umbria (tradizione dei prodotti di norcineria).
Le abitudini e le tradizioni gastronomiche della capitale, inoltre, riassumono in sé tutti gli elementi (dalle materie prime, alle ricette vere e proprie) delle diverse province che la circondano.
Tipici della cucina romana e adatti come sfiziosi antipasti sono i fritti: broccoli, mozzarelle in carrozza, cervello e fiori di zucca sono alcuni dei prodotti che nel Lazio si associano tradizionalmente alla frittura nell’olio extra-vergine di oliva e che, semplici e veloci nella cottura, sono perfetti anche come “fritti mistiâ€, insieme ai più tradizionali carciofi, zucchine ecc., da servire prima delle portate principali.
I crostini e le bruschette sono tipici della cucina laziale: la variante con la provatura (un formaggio con pasta filata, ottenuto dalla massa del latte, simile alla mozzarella) e le alici (insieme al baccalà sono i pesci più utilizzati nella cucina tradizionale e povera del Lazio) è al tempo stesso tipica, molto gustosa e semplice da preparare.
Ingredienti (per 4-6 persone):
• 1 sfilatino di pane
• 200 gr. di mozzarella o di provatura marzolina
• 80 gr. di burro
• alici sotto sale
• sale e pepe
Mettere in forno a temperatura medie le fettine di pane, ognuna coperta con una fetta abbastanza alta di mozzarella e condita con un pizzico di sale e di pepe; nel frattempo dissalare (a mollo nel vino bianco) e poi spinare le alici. Sciogliere il burro in una padella e aggiungere le alici, cuocendo e mescolando frequentemente fino a che non si sarà formata quasi una salsa, con le alici mischiate al burro. Quando la mozzarella sopra al pane sarà ben sciolta e filante, il pane croccante e la salsa di alici pronta, impiattare versando la salsa, quando è ancora ben calda, sulle fette di pane.
Anche della zucchina, magari di quelle prodotte nell’agro pontino, non si butta via niente e, anzi, utilizzando il suo fiore si può ottenere un antipasto gustosissimo anche se non proprio dietetico: i fiori di zucca fritti, con un delicato ripieno di mozzarella e acciughe.
Per quanto riguarda il fritto, ognuno ha una sua ricetta e i suoi trucchi; qui proponiamo una pastella semplice e leggera, senza olio né uovo, che si adatta bene al sapore del fiore di zucca e del suo ripieno.
Ingredienti (per 4 persone):
• 130 gr. di mozzarella
• 12 fiori di zucca
• acciughe
• farina
• sale
• olio per friggere
• acqua meglio se frizzante
Preparare in una ciotola la pastella: versare farina e un pizzico di sale e aggiungere poco alla volta l’acqua, possibilmente quella frizzante (rispetto all’acqua del rubinetto, quella frizzante renderà la copertura più croccante e gonfia) mescolando bene per evitare la formazione di grumi, fino a raggiungere un composto elastico, né troppo denso né troppo liquido. Pulire i fiori di zucca rimuovendo il gambo ed il pistillo centrale e aprendo un pochino i calici dei fiori, riempendoli con un pezzettino di acciuga e uno di mozzarella: quando saranno pronti, immergerli nella ciotola fino a ricoprirli bene di pastella e poi versarli nell’olio bollente. Attenzione ai dettagli per avere una buona frittura: l’olio deve essere ben caldo, ma non bruciato, i fiori devono rimanervi fino a quando non appariranno belli dorati e dopo averli tirati fuori andranno posti immediatamente sulla carta assorbente.
La coratella (cuore, intestini da latte e interiora dell’animale) è una ricetta tipica della gastronomia romana a base di abbacchio o di capretto da latte e di carciofo romanesco.
Essendo un piatto di carne può essere anche inserito tra i secondi, ma il gusto forte e particolare lo rende particolarmente adatto per un antipasto che stuzzica il palato con i sapori della capitale.
La cosa più importante per la realizzazione di questa semplice ricetta è la scelta di un pezzo di carne buono e soprattutto fresco.
Ingredienti (per 4 persone):
• 2 coratelle (circa 500 gr. ognuna)
• 2 cipolle
• sedano, aglio, foglie di alloro
• 1 kg di carciofi
• 1 bicchiere di vino bianco
• olio, sale, peperoncino
Lavare bene, separando i vari organi, e immergendo nell’acqua fredda e risciacquando più volte la coratella, fino a che ogni pezzo di carne non rilasci tracce di sangue nell’acqua (questa operazione può essere fatta anche la sera prima).
Preparare i carciofi, togliendogli le parti filamentose e dure interne e due-tre giri delle foglie esterne, tagliare a fette e precuocere in un padellino con dell’olio; parallelamente preparare un’altra padella con il soffritto di odori e il polmone e le altre interiora, a fuoco molto basso, e aggiungere poi, dopo circa 10-15 minuti, il cuore ed il resto della carne (lasciando ancora da parte il fegato) e i carciofi: man mano che aumentano gli ingredienti nel tegame alzare il livello del fuoco. Dopo altri 15-20 minuti aggiungere il fegato nella quantità desiderata (di solito la metà ): aggiungendo il vino bianco, lasciare in cottura per altri 15-20 minuti, e quando anche il fegato sarà rosolato, aggiungere i carciofi, condire con sale e pepe e servire.
Gli gnocchi della tradizione romana sono di patate (3 kg di patate e 700 gr. di farina per circa 8 persone; dopo essere state lessate le patate devono essere passate in un pressapatate o schiacciate, raffreddate e mischiate alla farina, divise in fasce poi tagliate in pezzettini di circa 1 cm), conditi con il sugo di pomodoro, o di semolino (2 litri di latte e burro riscaldati, a cui aggiungere, al momento del bollore, circa 300 gr. di semolino per 8 persone; cuocere per 10 minuti circa, far raffreddare bene e indurire, tagliare in pezzettini e scaldare in forno fino alla doratura), conditi abitualmente con burro e parmigiano.
La pasta viene mangiata dai romani in numerose varianti e la caratteristica principale è quella dell’abbondanza di ingredienti, soprattutto di quei pezzi di carne non pregiata che difficilmente si mangerebbero da soli. Oltre alle più famose amatriciane, carbonare e cacio e pepe, che descriveremo più accuratamente, sono altrettanto tipiche le “fettuccine alla papalina†(con uovo, piselli, prosciutto cotto e parmigiano), gli “spaghetti alla carrettiera†(con pomodori pelati, tonno e aglio) e i “rigatoni con la pajata†(antica ricetta nata nel quartiere Testaccio di Roma, realizzata per valorizzare una delle parti povere del manzo, cioè l’intestino, tagliato e legato su sé stesso con la caratteristica forma di ciambella e cotto nel sugo di pomodoro). Di origine sicuramente antica è poi la pasta “alla griciaâ€: antenata dell’â€amatricianaâ€, la ricetta della gricia era stata elaborata dai pastori della provincia di Rieti quando ancora non si conosceva in Europa il pomodoro e rispondeva alle esigenze di chi portava a pascolo il bestiame, che poteva portare con sé nella propria sacca dei prodotti che si mantenevano a lungo come pasta essiccata, pezzi interi di pecorino e guanciale, per cucinare in modo semplice il loro pranzo. Numerose sono anche le ricette per la pasta ripiena, tra cui gli “agnolotti†ripieni di carne (tradizionalmente venivano usati gli avanzi di diversi tipi di carni), i “ravioli con la ricotta†e i “ravioli di Quaresima†(ripieni di pesce).
La ricetta originale è nata ad Amatrice (il doppio nome deriva dal fatto che gli abitanti di Amatrice si definivano, nel loro dialetto, “Matricianiâ€, senza la “aâ€), piccola città in provincia di Rieti e prevedeva l’utilizzo degli spaghetti invece che dei bucatini, sorta di spaghetti più spessi e con il buco al centro; oggi l’uso dei bucatini sembra aver perfezionato l’antico sapore, rendendo la pasta ancora più sugosa.
Nel descrivere l’antica ricetta, consideriamo che originariamente veniva usato, invece dell’olio inserito tra gli ingredienti, lo strutto.
Ingredienti (per 4 persone):
• 400 gr. di bucatini
• 200 gr. di guanciale di Amatrice
• 500 gr. di pomodoro fresco (spellato) o di pelati
• 150 gr. di pecorino
• olio, sale, pepe, peperoncino
Tagliare il guanciale in pezzettini dello stesso spessore (si consiglia un taglio a forma di strisce più che di dadini) e versarlo in una padella già messa a scaldare a fuoco alto con l’olio: abbassare il fuoco, girare il guanciale e aggiungere il peperoncino e lasciare rosolare per circa due minuti, facendo attenzione al momento in cui i pezzetti di guanciale diventeranno ben abbrustoliti e dorati prima di cominciare a bruciarsi; aggiungere, quindi, il pomodoro tagliato a pezzi e far cuocere per una decina di minuti, girando di tanto in tanto. Quando anche la pasta sarà cotta, tirata fuori dall’acqua bollente e scolata al dente, unire la pasta e il sugo e versare il pecorino a seconda della quantità desiderata, prima di portare in tavola.
La ricetta della carbonara è una delle più famose del Lazio, anche se non manca di diatribe relative all’origine e agli ingredienti precisi da utilizzare; rispetto alla ricetta fornita di seguito, le varianti possono prevedere l’utilizzo della pancetta invece del guanciale e del parmigiano invece del pecorino, l’aggiunta di un po’ di panna alle uova e una proporzione diversa tra uova e albume (c’è, ad esempio, anche chi utilizza un uovo intero a testa, o uno ogni due persone).
Ingredienti (per 4 persone):
• 400 gr. di spaghetti
• 3 uova (2 intere e 1 solo tuorlo)
• 200 gr. di guanciale
• 100 gr. di pecorino
• olio, sale, pepe
Tagliare il guanciale a striscioline, come nella ricetta della pasta all’Amatriciana e cuocerlo a fuoco basso con un filo d’olio finché non risulta dorato. Nel frattempo sbattere leggermente le 2 uova intere e il tuorlo, unendo pecorino, sale e pepe. Dopo aver cotto e scolato la pasta al dente, versare pasta, guanciale, con il suo sughetto, e uovo sbattuto direttamente nella ciotola da portata. È importante evitare di ripassare la pasta in padella o almeno di rimetterla sul fuoco troppo a lungo, perché l’uovo non deve risultare cotto, ma solo rappreso con il calore della pasta appena scolata.
Anche questa ricetta è molto antica, in quanto l’utilizzo del formaggio come condimento della pasta è forse stato il primo, quando ancora non si poteva usare il pomodoro; ancor più della gricia, inoltre, la pasta cacio e pepe nasce come pasto povero in quanto non conteneva carne ma solo formaggio, in diverse dosi a seconda della disponibilità .
Ingredienti (per 4 persone):
• 400 gr. di spaghetti
• circa 200 gr. di pecorino romano
• pepe macinato
• sale, olio
Mentre si cuoce la pasta in acqua bollente e salata, grattugiare il pecorino romano, unirvi una quantità abbondante, sempre secondo il gusto personale, di pepe e versare in una ciotola di vetro. Prima di togliere la pasta dal fuoco, mettere da parte in un bricco un po’ di acqua di cottura: versiamo la pasta non del tutto scolata nella ciotola con il cacio e il pepe e amalgamiamo bene finché il formaggio con il calore della pasta non sia perfettamente fuso; aggiungere, se necessario, un po’ dell’acqua di cottura conservata, fino a formare una cremina abbastanza densa che insaporirà alla perfezione il nostro piatto.
Oltre ai secondi piatti di carne, la cucina romana presenta diverse ricette di pesce, di cui il più usato è senza dubbio il baccalà , cucinato in molti modi, tra cui i più famosi sono fritto (a crudo o dopo una prima cottura), con i peperoni e in guazzetto.
La trippa alla romana è un piatto gustoso e semplice da preparare, che già da tempi antichi era molto apprezzato e che tradizionalmente veniva mangiata la domenica. Importante per la realizzazione della ricetta è la scelta del pezzo di carne (diverse parti dello stomaco dell’animale) che tradizionalmente doveva essere bianca, doppia e contenere per ogni kg. almeno un terzo della parte chiamata cuffia.
Ingredienti (per 4 persone):
• circa 1000 gr di trippa (o 600 gr. già cotta)
• 600 gr. di pomodori pelati
• 2 o 3 chiodi di garofano, menta romana, sedano, cipolla, prezzemolo (per lessare)
• cipolla, olio, pecorino, peperoncino (per condire)
• mezzo bicchiere di vino bianco
Se non si compra già cotta dal macellaio, è necessario lessare la trippa: tagliarla in pezzi quadrati o in strisce a seconda del gusto, versarla in un recipiente con acqua che la ricopra del tutto e aggiungere il sale, i chiodi di garofano e gli altri odori; da quando l’acqua bolle, tenere a fuoco medio per 5 o 6 ore. Preparare, poi, in una padella un soffritto e quando la cipolla comincia a rosolare nell’olio, aggiungere la trippa e il vino bianco; dopo due minuti mettere nella padella i pomodori, il sale e, a scelta, un po’ di peperoncino e lasciare in cottura, senza coperchio, per circa 40 minuti, mescolando ogni tanto. Servire con la menta e il pecorino grattugiato.
L’attribuzione di questa semplice ma gustosa ricetta è dubbia e oscilla tra la città di Brescia e quella di Roma; sicuramente i saltimbocca si trovano oggi nelle trattorie più antiche e rinomate della capitale e la ricetta è conosciuta a livello internazionale come tipica del Lazio.
Ingredienti (per 4 persone):
• 12 fette di vitello da latte
• 2 hg. di prosciutto crudo
• foglie di salvia
• sale, pepe, farina, vino bianco
Preparare la carne privandola delle parti eccessivamente grasse e battendola fino a renderla sottile: possibilmente le fettine devono essere tutte uguali e di dimensioni non eccessivamente grandi. Infarinare la carne da entrambi i lati senza però lasciare grumi di farina in eccesso e aggiungere sopra ogni fetta una foglia di salvia e una fetta di prosciutto, bloccando il tutto con uno stuzzicadenti; cuocere in padella con olio (o burro) caldo, a fuoco basso, da entrambi i lati (ma tenendo il lato con il prosciutto qualche minuto in meno), per circa 5-7 minuti, fino a sfumare con un po’ di vino bianco a cottura quasi ottimata. Dopo aver tolto la carne dalla padella, per recuperare un po’ di salsetta da versare sui saltimbocca prima che vengano serviti, versare un po’ di olio e di acqua calda nella padella di cottura e girare con un cucchiaio di legno fino a far ridurre.
Il baccalà ha nella cucina romana numerosi utilizzi e diversi modi per essere cucinato. Una ricetta dall’origine contesa, tra la cucina romana e quella ebraica (da cui potrebbe essere dipeso l’utilizzo di prodotti più raffinati come i pinoli e l’uva sultanina), è quella del baccalà in guazzetto; di questa ricetta esiste sia una variante “in biancoâ€, detta “alla trasteverina†dal nome del noto quartiere di Roma, sia una “rossaâ€, che proponiamo di seguito.
Ingredienti (per 4 persone):
• 800 gr. di baccalÃ
• 400 gr. di polpa di pomodoro o di pelati
• cipolla, aglio, olio, sale
• 30-40 gr. di pinoli
• 30-40 gr. di uvetta sultanina
Tagliare il baccalà in pezzi regolari (circa 4 x 6 cm), lavarlo bene e spinarlo. In un tegame largo (i pezzi di pesci devono entrare comodamente) soffriggere nell’olio per pochi minuti aglio e cipolla e aggiungere la polpa di pomodoro. Dopo una prima cottura della polpa di pomodoro, gettare nella padella i pezzi di baccalà , mischiando con delicatezza per non romperli, versare un po’ d’acqua, aggiungere sale, pinoli e uvetta e far cuocere con il coperchio a fuoco lento per una mezz’oretta.
Piatto tipico della cucina popolare e contadina, tradizionalmente povera di carne pregiata e in cerca di sostituti per l’apporto necessario di proteine: la ricetta romana dei fagioli con le cotiche crea una zuppa ricca, sostanziosa e gustosa, utilizzando un taglio di scarto dell’animale, la cotenna o cotica, e i legumi.
La preparazione richiede un po’ di tempo per via del lavoro preliminare da compiere sia sui fagioli sia sulle cotiche.
Ingredienti (per 4 persone):
• 200 gr. di cotiche di maiale
• 300 gr. di fagioli cannellini
• 300 gr di polpa di pomodoro
• 50 gr. di prosciutto crudo
• olio, aglio, cipolla, sale, pepe
Dopo aver messo a bagno i fagioli per mezza giornata (12 ore minimo), lessarli senza sale. Pulire le cotiche raschiando bene la parte grassa che le ricopre e metterle in una pentola con l’acqua fredda aspettando il bollore: da quando l’acqua bolle lasciare sul fuoco per 15 minuti, poi scolarle, tagliarle a strisce, metterle in un altro recipiente con acqua fredda e sale facendole cuocere fino a che, bucandole con una forchetta, non si sentiranno morbide. Tagliare il prosciutto, l’aglio e la cipolla e far soffriggere con poco olio in un tegame di coccio in cui poi si verserà e cuocerà per 20 minuti circa la polpa di pomodoro; aggiungere, infine, fagioli e cotiche ben scolati, coprire e lasciare sul fuoco per 15 minuti. Quando la consistenza sarà densa, togliere dal fuoco e servire il piatto ben caldo.
La puntarella è un prodotto da orto tipico del Lazio: costituisce, infatti, il germoglio della catalogna o del cicorione colto in un determinato momento prima della fioritura; viene raccolta e mangiata fresca quando il suo fusto è ancora morbido e tenero, in striscioline lunghe più di 10 centimetri più o meno arricciate su sé stesse. La tradizione romana le vede come contorno servite con una salsina fatta di acciughe e aglio.
Ingredienti (per 4 persone):
• 3 o 4 piante di catalogna o cicorione
• 5-6 alici sottosale
• aglio, olio, sale
Preparare le puntarelle selezionando la parte morbida (non meno di 10 cm. del fusto della pianta), tagliarle in verticale per lungo fino a formare tante striscioline per ogni fusto e lasciarle per minimo un’ora a bagno nell’acqua fredda, fino a quando non saranno ben arricciate. Nel frattempo preparare la salsina, spinando bene le acciughe, preferibilmente sottosale, e inserendole con uno spicchio di aglio, olio e sale in un mortaio (o in alternativa in un frullatore elettrico), amalgamando gli ingredienti fino ad avere una salsa non troppo liquida che andrà versata all’ultimo sulla verdura o portata separatamente a tavola (le puntarelle non devono macerarsi nel liquido per non perdere la loro croccantezza).
I carciofi alla giudia sono uno dei piatti più noti e buoni della tradizione romana, importata dalla cucina ebraica.
Pochi, però, osano cucinarli in casa e già nei libri tradizionali di ricette dei primi anni del ‘900 si attribuiva la colpa dell’insuccesso della cucina casalinga dei carciofi alla giudia alla paura di usare troppo olio: si capisce, insomma, che il piatto non è dietetico e per essere realizzato al meglio richiede pochi semplici trucchi e una certa abbondanza d’olio.
Ingredienti (per 6 persone):
• 12 carciofi varietà romanesca
• 1 limone
• olio, sale, pepe
La parte più difficile per una buona realizzazione dei carciofi alla giudia è la pulitura dell’ortaggio: togliere le foglie esterne per qualche giro e poi tagliare con un coltellino la parte più alta delle foglie, girando come una spirale e partendo dal basso verso l’alto; mozzare dopo circa 3 cm e sbucciare il gambo; pulire il torsolo, non troppo profondamente, ed eliminare le parti dure e filamentose dell’interno; infine, versare i carciofi in una bacinella con acqua fredda e succo di limone per circa 15 minuti e poi sbatterli leggermente, a testa in giù, su un piano di legno per appiattirli e aprirne leggermente le foglie, in modo da poter inserire sale e pepe. Versare i carciofi a testa in su in una padella larga con i bordi alti quando l’olio è bollente (l’olio deve quasi coprire i carciofi) e, con il fuoco alto, lasciarli friggere schiacciandoli delicatamente, fino a quando non avranno assunto un colore dorato e una consistenza croccante.
Durante l’Estate, invece, il dolce più ricercato è senza dubbio la grattachecca: nata agli inizi del ‘900 per combattere la calura romana, la grattachecca è così chiamata perché si crea “grattando†la “checcaâ€, ovvero la lastra di ghiaccio utilizzata per conservare gli alimenti. Al ghiaccio così trattato vengono aggiunti pezzettini di frutta fresca (in particolare cocco e agrumi), succhi di frutta e sciroppi (uno o più gusti).
Molti dolci sono, poi, tipici delle feste: il pangiallo, tipico dei Castelli Romani, si fa a Natale, le castagnole e le frappe a Carnevale, una pizza dolce a Pasqua; infine, tipici del 19 marzo, giorno di San Giuseppe e della festa del Papà sono i Bignè di San Giuseppe, squisiti bigné fritti ripieni di crema pasticceria.
I più famosi dolci romani rimangono però, probabilmente, i maritozzi, pagnottine dolci semplici o ripiene con pinoli, uva passa e, talvolta, frutta condita, in particolare scorze di arancia. Il maritozzo era l’unico dolce che si mangiava a Roma durante il periodo di Quaresima e il venerdì della prima settimana del mese di marzo veniva portato in dono alle fidanzate dai giovani innamorati, che spesso nascondevano nella mollica di questo panino dei regali.
Le castagnole, caratteristico dolce laziale, insieme alle frappe, sono un dolce che, per i romani, ricrea subito l’atmosfera gioiosa e allegra del Carnevale. Oggi esistono due tipi di castagnole e due diverse ricette, per realizzare o dei dolci più leggeri cotti al forno oppure le vere e proprie castagnole tradizionali fritte.
Ingredienti:
• circa 220 gr. di farina
• 50 gr. di zucchero
• 40 gr. di burro
• 2 uova
• 1 limone (scorza grattugiata)
• mezza busta di lievito per dolci
• 1 cucchiaio di liquore all’anice
• olio per friggere, sale, zucchero a velo
Preparare l’impasto con la farina, lo zucchero, le 2 uova, il burro a temperatura ambiente, il liquore, la scorza di limone grattugiata, un pizzico di sale e infine il lievito. Impastare e lavorare bene fino ad ottenere un composto liscio e uniforme che andrà lasciato a riposo per due minuti circa. Formare poi dei cilindretti spessi 1-2 cm e tagliarne tanti piccoli pezzettini che, lavorati tra le mani con dei movimenti circolari, assumeranno la forma di piccole palline. Friggere in olio bollente a fuoco basso, poche castagnole alla volta, fino a quando non saranno venute a galla e si saranno dorate, e posare subito nella carta assorbente; infine, spolverare con lo zucchero a velo e servire.
Il pangiallo, tipico dolce romano dall’aspetto tondo di una vera e propria pagnotta e ripieno principalmente di frutta secca e miele, ha origine addirittura nella Roma Imperiale, quando veniva distribuito durante l’Inverno a fini propiziatori, per augurarsi il ritorno del sole. Oggi è diffuso in tutta Italia e ne esistono, perciò, diverse ricette familiari, a seconda dei gusti personali; diamo qui una ricetta semplice, tipica dei Castelli Romani.
Ingredienti (per 4 persone):
• 300 gr. di farina
• 20 gr. di zucchero
• 50 gr. di uvetta
• 30 gr. di scorza di arancia candita
• 50 gr. di mandorle e pinoli
• 60 gr. di miele
• 100 gr. di ricotta romana
• 20 gr. di lievito di birra
• 2 cucchiai di olio
• sale, zafferano e cannella (un pizzico)
Impastare gran parte della farina con uno sciroppo fatto con lo zucchero sciolto insieme al lievito di birra nell’acqua tiepida e poi aggiungere i due cucchiai d’olio, la ricotta, il miele (leggermente scaldato), e poi, a piacere, gli altri ingredienti di condimento (pinoli, mandorle, scorze di arancia, cannella ecc.). Dopo aver impastato bene il tutto, lasciare la pagnotta che si è formata a lievitare per circa 12 ore (il tempo aumenterà o diminuirà a seconda dell’impasto e della temperatura dell’ambiente: controllare personalmente la lievitazione). Ottenere una pastella con acqua, il resto della farina (circa 25 gr.), un filo d’olio e lo zafferano, e spalmare questa glassa, che conferirà il caratteristico color giallo, sulla pagnotta. Passare in una teglia da forno imburrata creando la forma desiderata (il tradizionale pangiallo ha la forma di una vera e propria pagnotta tonda) e infornare nel forno caldo (180 gradi) per circa 40 minuti.
La ricetta dei bocconotti alla ricotta, la cui paternità è rivendicata da numerose regioni del centro-sud Italia, in particolare da Lazio e Abruzzo, è molto diffusa nelle famiglie e nelle taverne romane. Il nome “bocconotto†richiama la forma e le dimensioni di questi dolcetti che si possono mangiare in uno solo boccone.
Ingredienti (per 6 persone):
• 700 gr. di pasta frolla (acquistata o fatta in casa secondo la ricetta usata abitualmente)
• 500 gr. di ricotta
• 150 gr. di zucchero
• 3 uova
• 30 gr. di farina
• 100 gr. di canditi
• 1 limone
• cannella, rum, zucchero a velo
Setacciare la ricotta con 2 tuorli d’uovo, 1 uovo intero, lo zucchero, i canditi, la cannella e il rum (a seconda del gusto; in linea di massima non utilizzare più di un bicchierino di rum per avere un impasto della giusta consistenza). Creare con degli stampini dei dischi di pastafrolla (circa 10 cm di diametro), da riempire con la crema di ricotta che abbiamo creato, e chiudere su sé stessi. Spennellare con gli albumi dell’uovo non utilizzati precedentemente e mettere in forno a 180 gradi circa per 30 minuti (controllare il colore della pasta frolla per sfornare al momento giusto). A cottura ottimata, lasciar freddare e spolverare con lo zucchero a velo.
Il Lazio ha numerosi vini tipici, alcuni ben noti, e spesso molto diversi tra loro. La storia della produzione di vino non può che avere origini molto antiche: la vite era coltivata fin dagli etruschi, si è sviluppata parallelamente alla crescita del popolo e della civiltà romana ed è stata poi per anni una delle principali produzioni della regione, fino a che oggi il Lazio non è la terza regione per numero di vini certificati DOC (dopo Toscana e Spagna). I principali vitigni a uva bianca del Lazio sono il Grechetto, il Trebbiano, il Bellone e la Malvasia del Lazio, mentre per i rossi i vitigni più importanti sono il Sangiovese, il Cesanese, il Nero Buono e il Ciliegiolo.
Per quanto riguarda i vini con la certificazioni di Denominazione di origine controllata, i principali sono: Aprilia, Aleatico di Gradoli, Frascati, Est!Est!Est! di Montefiascone, Cerveteri (Cerveteri bianco, rosso e Tarquinia). Specifici dei Castelli Romani sono il Frascati, il Velletri e il Colli Albani.
A fianco ai vini etichettati, a Roma e dintorni il “vino della casa†sfuso che si trova nelle osterie o i vini casarecci fatti dai contadini riservano spesso belle sorprese; famosa è la “romanellaâ€, vino rosso frizzantino, servito soprattutto nelle Fraschette di Ariccia e dei castelli, nelle tipiche caraffe (chiamate “Quartinoâ€, “Fojettaâ€, “Tubbo†o “Boccaleâ€, rispettivamente nomi del quarto di litro, del mezzo litro, del litro e dei 2 litri).
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